Massimo Dalla Pola e Ilaria Del Monte

The Window's Tales

Inaugurazione Sabato 19 Novembre dalle ore 18.30.
Catalogo con testo di Marta Cereda.
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Sabato 19 novembre, a partire dalle ore 18.30, la galleria Roberta Lietti Arte Contemporanea ha il piacere di presentare “The Windowʼs Tales”, mostra personale di Massimo Dalla Pola e Ilaria Del Monte. Il titolo, che in italiano suona come ʻI racconti della finestraʼ, allude al mondo fiabesco che fa da comune denominatore per lavori, quelli di Dalla Pola e di Del Monte, molto lontani tra loro sia per pensiero che per tecnica.
Massimo Dalla Pola (MIlano,1971) artista, grafico, designer, presenta una serie di circa 50 disegni realizzati a bianchetto su carta da lucido che riproducono la silhouette di alcuni tra i più noti castelli d'Italia. Il lavoro di catalogazione architettonica di Dalla Pola acquista una valenza favolistica solo nel tema scelto (il castello) senza introdurre alcun elemento narrativo.
Nelle carte e negli oli di Ilaria Del Monte (Taranto,1985) invece è la narrazione fiabesca che predomina. Fanciulle eteree sospese in un contesto surreale, figure dai tratti autobiografici, diventano protagoniste di situazioni oniriche dove elementi reali si mischiano con elementi fantastici, aprendo all'osservatore infinite possibilità di interpretazione.

DOPPI VETRI
di Marta Cereda 

 Doppi vetri. Per proteggersi dai ladri, dai rumori o dal freddo? Per guardar fuori e per guardarsi dentro.
Finestre piccole e strette, feritoie per osservare senza farsi guardare, per proteggere i propri averi, il proprio corpo e forse anche la propria identità. Sproporzionate rispetto ai muri poderosi e solidi, la cui stabilità pare essere correlata con l’importanza dell’occupante. Solo una sottile linea bianca per sorreggerle, a tratti un po’ incerta, tracciata a mano libera, irregolare come quando da bambini si ricalcavano i contorni di qualche immagine amata e ammirata, della quale si sarebbe voluto essere l’autore, come quando si giocava a non staccare la matita dal foglio, a non interrompere mai il tratto. Massimo Dalla Pola usa il bianchetto non per cancellare ma per affermare, per delineare fortezze che si ergono sulla carta come testimonianze di un tempo lontano, i cui valori tuttora propugnano e difendono.
Sembrano schizzi o studi, invece sono un lucido riassunto del Medioevo, che solo la distanza storica e la capacità analitica e sintetica dell’oggi possono permettere. La fedeltà al dato reale senza alcun indugio nel fiabesco consente ai castelli di avere una valenza non narrativa ma iconica. Massimo Dalla Pola si avvicina a un minimalismo che non ha, però, nel rigore formale o nel virtuosismo tecnico i propri obiettivi.
Da un intento catalogativo emergono scheletri sospesi e radiografie imprecise, impronte di un’architettura espressione del pensare e del fare umano, ma in cui l’uomo non ha spazio. Non sono la rappresentazione delle vicende o della volontà di un singolo, bensì il manifesto della mentalità di un’epoca, in cui gli edifici erano strumento di organizzazione territoriale e di definizione individuale.
Grandi vetri, troppo illuminati perchè si scorga cosa c’è oltre. Si rimane abbagliati, si vedono solo sagome indefinite, come quando in un giorno di sole si passa dalla luce all’ombra e la vista fatica ad abituarsi. Finestre bucate, ante d’armadio aperte, porte socchiuse: sono la soglia già superata o ancora da valicare, il passaggio per accedere a narrazioni in cui il tempo e lo spazio sono difficili da definire o forse sono una via di fuga, un collegamento con il reale.
Ilaria Del Monte si nutre di suggestioni sedimentate nella memoria per delineare una realtà possibile, anche se non necessariamente coincidente con l’esistente: l’accostamento con l’inusuale genera situazioni surreali in cui le protagoniste sono giovani donne apparentemente ignare di uno sguardo esterno, che agiscono in un universo costellato di elementi simbolici. Riprendendo la tecnica dada del cut-up sviluppata da William S. Burroughs e da Brion Gysin, l’artista seleziona immagini provenienti da contesti diversi che riescono a comporre un’unità pittorica coerente. Il risultato di questa accumulazione è una sensazione di déjà-vu: l’osservatore percepisce una sorta di familiarità con la scena rappresentata, in cui, però, sono inseriti elementi stranianti.
L’unione tra inconscio collettivo, dato dagli elementi tratti da riviste, dipinti, film e libri, e sensibilità personale per la creazione di un complesso collage bidimensionale e intellettuale è il risultato delle opere di Ilaria Del Monte, che paiono partire dal presupposto che l’arte non possa essere il prodotto di una ragione pienamente desta.
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